La mia prima volta


Novembre 2013

Piove. Piove e tira vento. Sono davanti allo “Zio d’America”, aspetto Enza.
Con Enza c’eravamo conosciute alcuni anni prima come coriste al “Coro dell’Angolo”, il coro di Avventure nel Mondo, agenzia con la quale viaggio da anni.
Poi io avevo lasciato perché, dopo una girandola di maestri, era tornata la prima maestra e io non avevo voglia di veder riproposte le vecchie dinamiche.
Con Enza ero comunque rimasta in contatto e quando ci sentivamo parlavamo della mia infruttuosa ricerca di un altro coro e della sua insoddisfazione per il coro che frequentava. Ieri mi ha chiamato:

“Ti propongo un coro” esordisce senza indugio

“Uhm” ribatto dubbiosa.

“Il direttore è Dodo.”

“Vengo” – rispondo decisa

Dodo l’avevo conosciuto alcuni anni prima all’Angolo dell’Avventura, perché aveva partecipato con il Cantering alla rassegna di cori laziali, organizzata dal dinamico Presidente del mio coro.
Di quella serata ho un ricordo vivido. I ragazzi del Cantering, colorati e sorridenti sono arrivati da tempo e sciamano per la sala ammirando le belle foto alle pareti, testimonianza dei numerosi viaggi compiuti dagli “avventurieri, ma del maestro
neanche l’ombra. Sono le 21,20 e i sorrisi dei ragazzi diventano sempre più imbarazzati: corre voce che Dodo stia tardando perché impegnato in uno spettacolo che si sta protraendo più del previsto.
Imparerò, poi col tempo, che prendere impegni senza soluzione di continuità e dislocati in luoghi lontani tra loro è una caratteristica peculiare di Dodo.
Il mio stomaco, intanto, ha iniziato un sommesso ma inquietante brontolio. Noi coristi dell’Angolo siamo lì dalle 18,30 per la nostra consueta lezione, digiuni non si sa da quanto.
Alle 21,40 un ragazzo, vestito da pirata, fa irruzione nella sala. Tutti gli altri masnadieri gli si affollano attorno festanti; capisco che è il loro maestro e che finalmente lo spettacolo può iniziare. A questo punto accade il miracolo: lo stomaco cessa di lamentarsi, c’è solo il canto con la sua forza evocativa, la sua dolcezza, la sua intensità che mi riempie e mi sazia di bellezza.

Il corso della vita è sommerso dal canto, d’improvviso c’è una sensazione di fratellanza, di profonda solidarietà, persino d’amore, e le brutture quotidiane si stemperano in una comunione perfetta. Anche i visi dei coristi sono trasfigurati .
… è troppo bello, solidale, troppo meravigliosamente condiviso. Io non sono più me stessa, sono parte di un tutto sublime al quale appartengono anche gli altri, e in quei momenti mi chiedo sempre perché questa non possa essere la regola quotidiana, invece di un momento eccezionale del coro.
….
In fondo, mi chiedo se il vero movimento del mondo non sia proprio il canto.

( DA “L’ELEGANZA DEL RICCIO” DI MURIEL BARBERY)

Rivivo tutto questo mentre sono sotto il mio ombrellino. Ad un certo punto, impaziente, svolto l’angolo verso via Romagnosi , da dove dovrebbe arrivare Enza, quasi a voler materializzare col pensiero la sua auto. Pessima idea: il vento mi capovolge l’ombrello e mi scolo. Mi rigiro di scatto per far riprendere all’ombrello la forma originaria e arginare l’infradiciatura.

Se non fosse per Dodo…
Odio la pioggia, Dio come odio la pioggia. La pioggia amo guardarla solo attraverso i vetri di casa, magari alitandoci sopra come facevo da bambina e disegnando col dito buffe casette.
Ecco finalmente l’auto di Enza. É una punto a tre porte e accanto a lei intravedo una “sagoma”.
Bene – mi dico – adesso dovrà scendere e per ripararla ci scoleremo tutt’e due
La “sagoma”, invece, con un’agile piroetta passa al sedile posteriore. Entro e ci presentiamo: è Cristina.
Strada facendo Enza mi ragguaglia di come è venuta a sapere di questo coro.
Entriamo da un ampio cancello e immediatamente tutto cambia: buio fitto, strada in salita, sterrata e piena di buche. Piove ancora, schizziamo fango dappertutto.

Scrutiamo nell’oscurità nella speranza di qualche indizio di vita, ma solo buio che gli abbaglianti dissipano per un istante. In cima alla salita a sinistra c’è una luce, ci dirigiamo immediatamente da quella parte proprio mentre da una casa esce un uomo. Abbasso subito il finestrino per chiedere informazioni, ma lui mi precede, allunga un braccio e dice :- Di là.

E’ Carlo e per i prossimi due anni questo sarà il suo discorso più lungo.

Arriviamo in uno spiazzo con al centro un maestoso ulivo che sotto Natale sarà splendente di luci e sotto il quale, per parecchio tempo, ricominceremo a cantare una volta finita la prova ufficiale, finché una suora, forse parente del prete che “sisvegliaallesetteemezzo”, non ci imporrà il “viatuttiinsilenzio”.

Già le suore, perché le prove del coro si svolgono in una accogliente villa religiosa, che certo non ti aspetti di trovare dopo quella stradina sgarrupata.

Il senso di impaccio iniziale viene ben presto superato non appena arriva Dodo e si inizia a cantare.

Esco dalla prova con un senso di calore che non mi fa percepire l’intensa umidità e sulla via di ritorno penso che ho trovato il mio coro, ho trovato casa.

Marisa