Le trasferte


Val Pusteria 23 – 24 – 25/ 06/ 2017

VAL PUSTERIA

Abbiamo deciso di andare in Val Pusteria, bellissima valle altoatesina ( le tre cime di Lavaredo, il lago di Braies, Plan de Corones sono alcuni dei suoi gioielli), dove ogni anno viene organizzato un Festival a cui partecipano cori provenienti da tutto il mondo.
A noi è stato assegnato l’hotel Rastbichler .Prima di partire cerco su internet informazioni su questo hotel e apprendo che le stanze sono arredate secondo i princìpi del feng shui. Feng shui, che letteralmente significa vento (inteso anche come soffio o respiro) e acqua, è un’antica pratica taoista e ha un riflesso anche nel modo di arredare gli ambienti al fine di creare armonia e benessere psicofisico. Secondo questa ottica sia le piante che il lento scorrere dell’acqua hanno un ruolo importante.
Nella hall, in effetti, c’è una fontanella dal sommesso chioccolio, ma proprio l’acqua non sarà motivo di armonia ma di scontro aperto con Franz, il gestore.
Franz l’ho conosciuto in anteprima, in quanto in val Pusteria sono arrivata un giorno prima rispetto al coro, che ha deciso di viaggiare di notte. Quando ho chiamato l’hotel per sapere qual era la stazione più vicina e da lì come raggiungere l’albergo, una gentile signorina mi risponde che verranno loro a prendermi alla stazione di Casteldarne.
Arrivata in orario alla stazione mi guardo attorno, ma non vedo nessuno, così mi siedo sulla panca che costituisce l’unico arredo dell’angusta stazione. Aspetto, aspetto.

“Che faccio chiamo l’hotel?” mi domando dopo 20 minuti. “Ma no dai, aspetta ancora qualche minuto poi chiama” e guardo per l’ennesima volta l’orologio.
La pazienza infine è premiata: arriva un tale, teutonico, tutto scatti, prende il borsone, a stento risponde al mio saluto. Di scuse per il ritardo non se ne parla proprio e il mio tentativo di avviare una conversazione naufraga miseramente: forse anche questo fa parte del feng shui.

Mi viene in mente l’ultima parte di un aforisma di Buddha: prima di parlare domandati se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire.
Giustissimo, meglio godersi il panorama in silenzio e meditare. Saprò poi che è Franz e il venire a prendermi è stato forse l’atto più gentile della sua vita.
I colori della mia stanza vanno dal beige al marrone, ma anziché indurmi benessere psicofisico, mi suscitano solo tristezza, così tiro fuori dal borsone la sciarpetta della divisa per dare un tocco di allegria.

23/7
E’ arrivato il coro. Tutti sono più o meno assonnati. Io, invece, sono ben riposata; se non altro il beige che sfuma nel marrone mi ha aiutato a scivolare dalla veglia al sonno.
Nel pomeriggio proviamo e c’è anche una festa a “doppia” sorpresa per i 40 anni di Chiara, organizzata dal marito. Doppia perché è una sorpresa sia per Chiara che per noi.
Stasera ci aspetta la festa dei cori a Villabassa, che prevede 15 min. di esibizione per ogni coro. Saranno i 15 minuti più lunghi della mia vita. Nonostante il nome, Villabassa si trova a 1.154 metri di altezza e la sera, a giugno, fa un bel freschetto.
Guardo con invidia i cori che ci precedono: la loro divisa prevede una calda giacca in pile, mentre noi abbiamo delle magliette, decisamente originali, ma di cotone!!
Il ricordo dei brividi di quella sera ci farà prendere la decisione di dotare la nostra divisa di una giacca.

24/7
Oggi giornata piena: alle 10 si canta alla sala Mahler di Dobbiaco, alle 13 al rifugio Gröber Huette di Versciaco e alle 21 alla casa culturale di Falzes.
Al teatro Mahler si esibisce, tra altri, un coro coreano. Bravi, precisi, inquadrati, perfetti nell’entrare e uscire dal palco, diversamente da noi che spesso adottiamo uno stile casual. Forse per questo li colpiamo: loro così militari e noi così creativamente italiani e all’uscita dal teatro, con grandi sorrisi ( linguaggio universale), ci chiedono di fotografarci assieme.
Arriviamo al rifugio all’ora di pranzo. E’ stato approntato un tendone su un pendio erboso, sotto il quale dovremmo cantare. L’allestimento è poco funzionale: il suono si disperde e arriva come un’eco lontana. Quando tocca a noi Dodo prontamente improvvisa un’altra sistemazione; spostiamo i tavoli da pranzo all’aperto e ci disponiamo davanti alla parete del ristorante. Decisamente è un’alta musica, che avrà il suo culmine con Benia Calastoria, perché Dodo, con un guizzo geniale, coinvolge gli altri cori a unirsi nel bordone. L’effetto è da brividi, non come quelli della sera precedente, stavolta sono brividi di profonda emozione. La foto che ci ritrae mentre lanciamo in aria i nostri cappelli è la sintesi perfetta della nostra gioia corale.
Ma le emozioni per oggi non sono ancora finite, la serata ci riserverà ben altre sorprese. Per fortuna la sera si canta al chiuso sul palco della casa culturale di Falzes. Per l’occasione Enrico sfoggia delle calzature di gomma veramente fuori dal comune: sembrano guanti da cucina messi ai piedi.

“Belle!” commenta Dodo e questo aggettivo nella sua brevità lapidaria esprime molto di più di circonvoluzioni di parole fiorite di cui Dodo peraltro è maestro.
Etty, la mascotte del coro, si aggira silenziosamente tra noi come una farfallina. Ad un certo punto, con la disinvoltura propria dei bambini che non percepiscono il pericolo, punta decisa verso il limite del palco. Lucia riesce ad afferrarla al volo e tutti quelli che se ne sono accorti riescono a reprimere l’oh di spavento e a proseguire il canto senza neanche calare. Dodo, al quale la scena non è di certo sfuggita, finito il brano ci invita a scendere dal palco per evitare altri salvataggi.
Dopo di noi tocca al coro Burcina, la cui performance colpirà tanto Cinzia al punto da desiderare di proporsi come loro solista con fon.
I coristi lentamente, ma proprio lentamente prendono posto sul palco. Uno addirittura arriva in carrozzina. L’età media è di 78 anni. Il loro maestro dà la nota e ogni corista emette una sua libera interpretazione. Il maestro sembra soddisfatto del mugolio d’insieme e dà l’attacco.
“Ognuno sta solo nel proprio lamento trafitto da sonoro impulso ed è subito coro”

Strapazzo così una delle più belle poesie del ‘900, solo che i versi che mi sgorgano spontanei non hanno nulla d’ermetico. E’ come se una freccia entrasse nei timpani.
I miei compagni di coro, non potendo resistere a cotanta esilarante bruttezza, si precipitano fuori per ridere liberamente. Io sono seduta accanto a dolci fanciulle rumene, vestite nei loro leggiadri costumi tradizionali, che si acquattano per nascondere le risa. Vorrei fare altrettanto, però mi astengo, sia perché mi sembrerebbe proprio di sparare sulla Croce Rossa (e forse mai questa
espressione è stata usata in modo così calzante), sia per orgoglio italico.
Andando verso il pullman siamo tampinati da un’anziana corista che si è attribuita il ruolo di critica musicale e che ha da ridire sulla nostra esibizione.
Qui mi viene in aiuto De André: Si sa che la gente dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio.
Una giornata così intensa non può finire con un semplice saluto di buonanotte.
Ma questo ve lo racconterà Enzo.

Marisa